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Immagine del redattoreGabriele Serrau

SCUOLA POST COVID: Il BISOGNO SPECIALE DI SCUOLA E SOCIALIZZAZIONE

Aggiornamento: 18 ago 2022

Ogni bambino, bambina, adolescente o persona in formazione oggi ha un bisogno educativo speciale: quello di ritornare ad essere una comunità scolastica e di socializzare con i pari. La discussione sul futuro della scuola post Covid dovrebbe vertere principalmente sulla necessità di rimettere al centro i discenti e ridare spazio alla socializzazione.


La scuola delle abilità sociali, delle competenze trasversali, delle emozioni, della crescita come persona e come cittadino o cittadina è in emergenza. La scuola post Covid va pensata in termini di scuola diffusa progettata a partire dal territorio secondo un processo bottom-up che parte dai dettagli per progettare un sistema complesso. La straordinarietà e la problematicità del momento richiedono un cambiamento.  Se tutto cambia per non cambiare niente, cosa rimarrà del nostro tempo, cosa rimarrà del nostro essere? I cambiamenti storici, frequentemente, avvengono in maniera impercettibile ai più e gli effetti di tali cambiamenti si rivelano tali solo in seguito attraverso lo sguardi critico di chi ricerca le radici di un fenomeno, degli storici o degli artisti.

Oggi, nell’era dell’immanente, l’emergenza sanitaria che stiamo attraversando ci offre la possibilità di vedere le radici e la trama di un fenomeno, di essere testimoni attivi e presenti degli accadimenti: non possiamo far finta di non sapere. Possiamo coprirci le vie aeree ma gli occhi rimangono spalancati su ciò che avviene attorno a noi. Gli occhi dei bambini e degli adolescenti, come carta assorbente, stanno raccogliendo nella loro memoria e nel loro modo di essere al mondo informazioni irripetibili, percepibili, reali. Non possiamo negargli un cambiamento. La realtà non può essere nascosta come, purtroppo, è avvenuto in altri momenti storici. Non possiamo dire: “Io non lo sapevo”o “Qui non è successo” giustificando così uno stato di inerzia e una mancata trasformazione. La sovrabbondanza di informazioni, per una volta, è utile contro ogni negazionismo. Se ogni trasformazione storica incide sul nostro sentire e sul senso di comunità quali saranno gli effetti dell’oggi?  Dal punto di vista pedagogico, tutte le trasformazioni sono avvenute in seguito a trasformazioni storiche e politiche.

Tutte le riforme della scuola sono nate per dar seguito ad un’idea di civiltà (o di inciviltà) legata al momento storico.  Oggi più che mai è necessaria una riforma pedagogica, per ridare forma a degli assunti già presenti nella pedagogia italiana. Non sempre serve un utopico sguardo verso il futuro, piuttosto è necessario un approccio critico alla realtà, alla storia della comunità e dei territori. Tra i maestri guida per una possibile riforma pedagogica, non a caso, citiamo: il maestro Albinati (maestro del dopoguerra in Sardegna e Scuola di Pietralata), Don Milani (comunità di Bibiana), Roberto Sardelli (scuola 725 per i baraccati dell’Acquedotto felice), i quali hanno creato un ambiente educativo a partire dal contesto nel quale si trovavano ad operare. La scuola non è progetto univoco e statico, un modello che va bene per tutti ma deve modellarsi sulle esigenze come d’altronde previsto dalla leggi sull’autonomia.

Le basi giuridiche entro le quali operare non mancano, serve un nuovo afflato, uno spirito nuovo, un desiderio. La scuola post Covid richiede un ulteriore processo di progettazione, necessita di una forma nuova che prende vita dal basso verso l’alto, che tiene conto delle esigenze e delle possibilità del territorio. Le differenze delle singole realtà non devono essere negate a favore di un modello omologante ma vanno rese vive, uniche, partecipi. Se una scuola si trova vicino al mare faccia di quel territorio la sua tutela, se i cittadini di una città vivono nei quartieri si istituisca il maestro di quartiere, se è necessaria la distanza si abbia cura di tenerla nel modo più umano possibile. Le differenza non vanno normalizzate ma vanno prese in cura perché avvenga la ri-nascita.

Il processo di progettazione bottom-up è un processo che tiene conto dell’ambiente come elemento non neutro e che nei dettagli trova le soluzioni per un sistema complesso. Quale forma è necessaria post-emergenza Covid? Occorre ritornare alla forma-base quella della comunità intesa come insieme di persone che condividono valori e territorio con le rispettive opportunità e i rispettivi vincoli organizzativi. Occorre individuare i bisogni emergenti ed agire con tempestività. Non si può più demandare alle istituzioni una soluzione calata dall’alto, una progettazione top-down che vada bene per tutti e che per tutti rappresenti una soluzione adatta, feconda e serena.

La scuola è il posto in cui si deve stare bene. La scuola non è una sede per l’assistenzialismo, non è un luogo sterile. La scuola dev’essere una pratica diffusa. La scuola è un bene di comunità. Occorre evitare la delega al singolo operatore o situazioni estemporanee come ad esempio le iniziative estemporanee di lezione all’aperto. Non è corretto demandare la soluzione alla volontà o al coraggio dei singoli educatori, non è etico trasformare un momento complesso quale quello scolastico/educativo in un evento estemporaneo, mordi e fuggi. Tali soluzioni, seppur valorose e degne di nota, rischiano di rompere gli equilibri di una classe sociale già fragile (come quella degli insegnanti).

Quali soluzioni dunque? Immaginiamo nuovi spazi: liquidi, fluttuanti, trasformabili. Permettiamo agli educatori di operare in prossimità ma non a domicilio. Gli ambienti non sono mai neutri, quanto mai la propria casa. Delegare tutte le esperienze educative, ed in particolare l’apprendimento, al solo contesto domestico è sbagliato e può generare dei cortocircuiti in termini di efficacia ed autonomia del discente. Immaginiamo gli educatori e le educatrici o i maestri e le maestre di quartiere, di condominio, di giardino a seconda degli spazi che si hanno a disposizione.


Creiamo dei tavoli di lavoro formati da professionisti e professioniste dell’educazione (rappresentanti del comune/municipio, pedagogisti, psicologi, educatori, assistenti, Oepa, docenti di vari ordini e grado) che facciano da supporto e guida per queste iniziative e indichino i luoghi più idonei per lo svolgimento delle stesse. Attraverso un’azione sinergica tra professionisti della salute e del benessere e rappresentanti territoriali si potrà, inoltre, progettare una ri-conquista degli spazi aperti, una loro riqualifica in caso di abbandono e riconnettere così il concetto di salute a quello di natura.

I benefici avverrebbero non solo in termini di salute (che già basterebbe) ma in termini di spazi, di distanziamento, di senso di sicurezza per i bambini, per le famiglie, per gli operatori. Infine, ma non da meno, la scuola diffusa permetterebbe un netto miglioramento in termini di inclusione: abbiamo tutti un bisogno speciale di scuola e di socializzazione.


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